Descrizione
Il comune di Piazza al Serchio è racchiuso entro i due rami del fiume Serchio, quello di Soraggio e quello di Gramolazzo.La posizione del territorio, in tempi antichi militarmente strategica e di grande importanza commerciale, fa supporre ad alcuni studiosi che esso sia stato abitato fin dall’epoca preromana, anche se l’esiguità dei reperti archeologici trovati non ci confermano lo stazionamento in loco di popolazioni stabili.La romana Via Clodia risaliva il Serchio nel suo corso da Lucca verso le sorgenti e si biforcava all’altezza di “Sala”, proseguendo un ramo attraverso Sillano e il Passo di Pradarena, verso la valle del Panaro in Emilia, deviando l’altro a guado del Serchio per Piazza, il Passo di Tea e la valle dell’Aulella in Lunigiana.I documenti storici ed i toponimi risalgono ad epoca tarda latina o longobarda; e da questo momento, per tutto il medioevo, la storia del comune vede nelle sue varie frazioni l’affermarsi del feudalesimo.Signori del territorio furono i vescovi di Lucca, chiamati conti di Piazza e Sala ed alcuni consorti dei Cattani di Versilia e dei Malaspina che conservarono fino alla metà del XIII secolo i loro privilegi, mentre la sua dipendenza spirituale dal vescovo di Luni era una logica conseguenza della sua posizione lungo una strada che conduceva alla Lunigiana, regione con la quale gli scambi erano assai frequenti.Al momento dell’affermazione degli stati principeschi e con l’indebolirsi della potenza lucchese, il territorio del comune passò a Modena sotto i cui duchi rimase fino all’Unità d’Italia, ad eccezione di Piazza e Sala sulle quali, fino alla fine del XVIII secolo, si esercitò il potere temporale dei vescovi di Lucca.
LA VIABILITA’ MEDIOEVALE.
La vallata garfagnina presenta direttrici di percorrenza strettamente condizionate dalla geomorfologia della valle: nelle aree a minore altimetria si sono attestati gli insediamenti di origine medioevale e la rete comunicativa che li collega è assai addensata permettendo comunque lo scorrimento in senso parallelo alle rive del fiume Serchio.
I centri posti ad una certa distanza dal fiume sono raggiunti da percorrenze a doppio pettine integrate con l’analogo andamento delle vallecole degli affluenti appenninici e apuani.
Notoriamente la viabilità medioevale si distingue in percorsi di crinale, di mezza costa, di fondovalle, di raccordo e, se possibile, traversanti intervallive.
Dopo l’intervallo di età romana, in cui l’assetto insediativo e la rete viaria assumono specifiche caratteristiche anche giuridiche, i percorsi recuperano in età medioevale le valenze naturali, così come si assiste ad una diffusa rioccupazione dei siti d’altura, pressochè assente nel popolamento rurale precedente.
Piazza al Serchio è il nodo comunicativo principale dell’alta Garfagnana: la necropoli longobarda dell’inizio del VII secolo ed altri ritrovamenti archeologici permettono di ritenerla un luogo predominante nel controllo del territorio. E’ ritenuta comunemente la sede del longobardo castellum de Garfaniana, da cui sarebbe derivato il nome della sub regione, ed ha antiche attestazioni documentarie relative anche a Sala e S. Michele.
Dal punto di vista del controllo viario e del territorio è opportuno osservare che il complesso insediativo, religioso e cortense di Piazza e Sala, con complementari “appendici” di S. Michele e S. Donnino blocca tutte le direttrici della vallata provenienti da nord-nordovest. L’unica via di fuga verso valle, evitando Piazza-S. Donnino, era costituita dalla via di mezza costa alta verso Verrucole e San Romano non a caso “bloccata” dal castrum di Verrucola Girardingorum.
Piazza e S. Michele (anch’essi sedi di castrum) raccolgono poi tutte le direttrici provenienti dal bacino dell’Aulella: da Codiponte e dalla pieve di S. Lorenzo di Vinacciara (detta anche dei Gragnanesi) si raggiungevano, con due distinti passi di poco superiori agli 800 metri (uno di essi è il passo Tea), Capoli e Gragnana.
La direttrice più efficace e più frequentata era dunque la Pieve di S. Lorenzo/Passo Tea-Gragnana-Piazza al Serchio.
LA VIA DEL VOLTO SANTO
Come è ormai senso comune e pacifico in sede scientifica, la Via Francigena è da ritenersi un’area di strada solcata da un itinerario centrale, e da una serie di percorsi diversi attivati nei secoli sulla base di problemi politici, militari, commerciali e religiosi. Secondo questa interpretazione le vie distinte dal percorso di Sigeric possono essere definite come strade appartenenti, al sistema viario definito Via Francigena o Romea come loro organiche varianti.Quindi seppur il percorso identificato dall’Arcivescovo di Canterbury Sigeric alla fine del X° secolo può essere definito come il principale, la spina centrale, gli altri percorsi paralleli o varianti hanno pari dignità e possono essere considerati anch’essi parte del cosiddetto fascio di strade chiamato Via Francigena.
In Toscana tra queste varianti, una ha assunto secoli un ruolo principale: si tratta di un asse viario che, ancora prima della creazione della via Francigena, collegava Pavia, Piacenza e la Pianura Padana con Lucca, tagliando trasversalmente la Val di Magra e seguendo, passato il Valico di Tea, il fiume Serrchio lungo la Garfagnana. Questo percorso che non seguiva il fondovalle del Magra era quello della romana “Via Clodia” e dell’altomedioevale “Via di Monte Bardone”.
Questa arteria è rimasta attiva e praticata per tutto ed oltre il Medioevo e l’attestazione lungo il suo percorso di dipinti e sculture riferite alla grande reliquia venerata in San Martino a Lucca, ha indotto a denominarla Via del Volto Santo.
La Via del Volto Santo, “lascia” la Via Francigena principale appena oltre la Pieve di Sorano di Filattiera e attraversa la Lunigiana orientale toccando le Pievi di Venelia e di Soliera, Fivizzano, Offiano, Pieve San Lorenzo fino a giungere in Garfagnana dal Passo di Tea e l’Ospitale di San Nicolao.
Dopo un tratto di crinale fino a Varliano la strada scende verso il comune di Piazza al Serchio incontrando Gragnana, San Michele, Piazza al Serchio, San Donnino e Petrognano; borghi medioevali caratteristici con l’emergenza di fortezze e ponti mediovali. La via prosegue poi verso il fondovalle fino a Lucca.
I CASTELLI
Ripercorrendo le acquisizioni storiche si nota che i castelli attestati nel X secolo sono solo due: il castello di Campori (957) ed il castello di Gorfigliano (997); entrambi fondazioni di origine vescovile poi rispettivamente entrati in possesso dei signori Cella Baroti e dei Cunimondinghi.
Nell’XI secolo sono documentati un maggior numero di castelli, otto in totale: Verrucole, S. Donnino, i due castelli di Croce (1027), Castiglione (1033), Castelnuovo (1045), Cella Baroti (1045) e Verrucchio (1072 circa).
Nel XII secolo compaiono altri sei castelli: Castelvecchio (1164), il castello di Magliano, il castello di Soraggio ed il castello di Cogna (1185), il castello di Pontecosi ed il castello di Fosciana (1179).
Se è assai evidente che i primi autori dell’incastellamento in Garfagnana sono i vescovi lucchesi, verosimilmente interessati a creare nell’estremità settentrionale della diocesi, centri di potere analoghi a quelli detenuti nella piana di Lucca, seguiti da laici, primi fra tutti i Cunimondinghi, che iniziarono ad affermarsi economicamente e politicamente, a partire dalla metà del X secolo, proprio grazie ai livelli di terreni e pievi loro concessi dallo stesso episcopio, al contrario, la tipologia del castello curtense, prevalente in ambito toscano, resta un cono d’ombra.
In assenza di chiari segnali di evoluzione della curtis in castello, non è quindi dimostrabile la coincidenza fisica fra il vecchio e il nuovo centro di potere: le curtes documentate nel IX secolo, e cioè la curtis di S. Cassiano (Pieve Fosciana), la curtis di Vitoio, la curtis di Sala e la curtis di Nicciano, tutte di pertinenza vescovile, risultano anzi decadere e poi scomparire a partire dalla seconda metà del secolo successivo.
Fra queste solo la curtis di Sala, ubicata nell’area di Piazza al Serchio sulla scorta del documento dell’883, pare corredarsi di opere di fortificazione. I quattro castelli citati nel diploma del 1027, tutti concentrati nel raggio di 1 Km nella zona di Pazza al Serchio e appartenenti ad un discendente di Cunimondo, in base alla formula castello et curte con cui vengono indicati, sono di fatto rapportabili ad un preesistente e verosimilmente unico, centro curtense.
Oltre ai 16 castelli documentati durante i secoli X-XII, è possibile prendere in considerazione anche altri 27 siti fortificati dell’alta valle del Serchio, fra cui rientrano 6 torri isolate, taciuti dalle fonti scritte. Da ciò consegue che non si possa più parlare di una relativa scarsità di nuclei fortificati per il territorio della Garfagnana, ne generalizzare a priori una coincidenza materiale fra castelli e preesistenti nuclei abitati. La ricerca sul territorio infatti dimostra che la maggior parte delle sedi incastellate tende a disporsi sulle alture vicine ai centri aperti, ma chiaramente separate da questi: proprio la distinzione spaziale fra castello e nucleo abitato più basso, risulta una caratteristica ricorrente in tutto il territorio.
La morfologia dell’alta valle del Serchio, caratterizzata da una netta preponderanza dei rilievi sulle aree pianeggianti e da una elevata altitudine media, ha un ovvio riflesso sull’altimetria dei castelli. Le quote delle alture incastellate sono dunque piuttosto elevate; un buon numero di castelli si colloca nella fascia altimetrica compresa fra gli 800 e i 900 metri, fenomeno questo che sembra riflettere l’interesse da parte dei detentori delle fortificazioni di occupare aree “tattiche”, più che favorevoli all’insediamento e allo sfruttamento agricolo.
Facendo un calcolo della maglia distributiva delle sedi fortificate dell’alta Garfagnana si è riscontrata una media di un castello ogni 8 Kmq circa, media che non rispecchia però la distribuzione reale: nell’area intorno a Piazza al Serchio, ad esempio, nel raggio di 1 Km, sono concentrati ben quattro castelli. Il numero di questi tende a decrescere a mano a mano che ci si allontana dalle vallate dei principali affluenti del Serchio mentre è logicamente nullo nel settore appenninico e apuano caratterizzato da quote superiori ai 1100 metri.
Alcuni castelli sono significativamente posti in stretta vicinanza di ponti, riconducibili per le caratteristiche formali del paramento superstite ai secoli centrali del medioevo e dunque da ritenere contemporanei al periodo d’uso dei relativi siti fortificati: si tratta del castello di Bacciano, del castello presso S. Michele e il castello in località Il Podere. Quest’ultimo si trova poco più a sud del nucleo di Gragnana sulla direttrice stradale che, provenendo dall’alta valle dell’Aulella, raggiungeva il passo di Tea (dove era l’ospedale di S. Nicolao), poi Giuncugnano, Gragnana, S. Michele e infine Piazza al Serchio.
Per quanto riguarda la tipologia dei castelli della Garfagnana desumibili dalle fonti documentarie si ha di frequente la presenza di case sia internamente che esternamente il castello stesso.
Il 23 marzo 1164, di seguito al Castelvecchio, sono citati il borgo, cioè l’abitato sviluppatosi esternamente al recinto, e la cappella e, nel 1179, la parte interna dello stesso castello, è indicata con il termine dongione (doliomen), designante l’ulteriore ridotto fortificato posto nella parte più elevata della fortificazione.
Del Castelvecchio ci è pervenuto un disegno eseguito da Francesco Porta nel 1558. L’indicazione nel disegno di una porta in rovina a metà che dal nucleo di Sala, situato ai piedi dell’altura, conduce al castello, fa sorgere il dubbio che i resti murari della fortificazione ancora oggi visibili sulla sommità del colle, siano in realtà da attribuire al dongione e che il circuito murario perimetrale, poi andato perduto, corresse di fatto al livello di quella porta; la superficie compresa fra il dongione e il perimetro murario, avrebbe dunque potuto costituire l’allo castro, ossia la restante parte della fortificazione, citata nel suddetto documento del 1179.
Nella tipologia comune il muro di cinta assume un andamento poligonale, prediligendo un diretto ancoraggio alla roccia affiorante. Le superfici così definite, in genere indotte dallo spazio utile disponibile sono decisamente modeste; i castelli più grandi sono quelli di Verrucchio e Castelvecchio di circa 800 mq e Gorfigliano di otre 1000.
Se confrontiamo la tipologia dei castelli di Gorfigliano e S. Donnino, già rispettivamente nel 997 e nel 1027, vediamo una tipologia caratterizzata da recinto con torre posizionata nel punto più elevato del colle, elementi questi costituenti il modello più antico ed elementare di fortificazione capace di offrire il massimo di resistenza con un minimo impiego di strutture. La maggio parte dei rimanenti castelli sono riconoscibili in questa categoria.
La presenza di edifici di culto interni al recinto, è attestata per via documentaria per il Castelvecchio, per via documentaria e archeologica per il castello di Verrucchio e per quello sull’altura di S. Margherita vicino Gragnana.
Le torri isolate distribuite sul territorio con funzione strategica di raccordo visivo, scarsamente conservate in elevato, si presentano a pianta quadrata di circa 5 metri di lato con riseghe di fondazione interne (torre di Petrognano) oppure esterne (torre delle Roccacce). Benchè siano sicuramente da considerare più tarde rispetto a quelle circondate da recinto, è verosimile pensare che il loro impianto sia anteriore al 300, periodo in cui con la sottomissione a Lucca delle signorie rurali, non avrebbero svolto più alcuna funzione.